Intervento al Convegno Abiconf – Anadimm, Bologna 13 dicembre 2018
A cura di Avv. Tiziano Dozza
Breve excursus storico
La nozione del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1571 c.c., consiste nel contratto col quale un parte (locatore), si obbliga a far godere all’altra (conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Le locazioni di immobili ad uso abitativo, indipendentemente dalle disposizioni del codice civile, risalenti al 1942, sono caratterizzate da tre fondamentali interventi normativi, ovvero le Leggi n. 392/78, n 359/92 e n. 431/98.
La Legge n. 392/78
La Legge 392/78, per la disciplina dell’uso abitativo in gran parte ormai abrogata (rimanendo viceversa ancora pienamente in vigore per le locazioni ad uso non abitativo), si caratterizzava per la sua imperatività mediante due elementi, l’inderogabilità della legge qualora le deroga risultasse più’ sfavorevole per il conduttore rispetto alle disposizioni di legge e la sostituzione automatica della clausola nulla (salvaguardando in tal modo la validità’ e l’efficacia del contratto).
Nota come la legge sul c.d. equo canone in buona parte è fondata sull’intento di tutelare il conduttore, ritenuto contraente debole del rapporto, e -fondamentalmente – basata su due principi cardine:
– una durata minima del contratto (quattro anni, rinnovabili di ulteriori quattro anni, salvo disdetta da far pervenire anticipatamente alla scadenza contrattuale e nel rispetto del termine di preavviso dei sei mesi;
– la “predeterrminazione” del canone di locazione (per l’appunto il c.d. equo canone), mediante l’applicazione di coefficenti rapportati a diversi elementi quali ad esempio, la superficie dell’appartamento, la vetusta’, l’ubicazione etc, etc..
Vi era la previsione di alcune eccezioni alla disciplina generale quali le di ipotesi di accordi contrattuali aventi durata piu’ breve, rispetto alla durata minima quadriennale, in caso di esigenze abitative di natura transitoria (art. 26), permanendo comunque l’applicazione dell’equo canone qualora tali esigenze fossero motivate da motivi di studio o di lavoro; inoltre era sancita l’esclusione dalle norme generali per gli immobili costruiti dallo Stato (a canone c.d. sociale) e , per i beni immobili inclusi nelle categorie di pregio (A/8 e A/9).
Quale norma di chiusura, l’art. 79 (patti contrari alla legge), veniva espressamente prevista la nullità di qualsiasi patto tendente a limitare la durata del contratto, a consentire al locatore di percepire un canone superiore al c.d. equo canone, ovvero a permettere al locatore medesimo di ottenere altri vantaggi rispetto contrastanti con le disposizione della legge in esame (al conduttore era concesso un termine, decorrente dalla data di riconsegna dell’immobile e pari a sei mesi, per agire al fine di ottenere la restituzione delle somme eventualmente versate in eccesso in violazione dei divieto e dei limiti previsti dalle norme).
La Legge n. 359/92
La Legge 392/78, all’art. 11, introdusse la liberalizzazione del canone di locazione sia pure nel rispetto di alcune condizioni.
Prevedeva che al termine del contratto di locazione vigente, e pertanto rispettoso del c.d. equo canone, le parti potessero perfezionare un nuovo contratto di locazione a canone di mercato purché il locatore, al termine del primo quadrienno, rinunciasse a dare disdetta del rapporto locativo, fatta salva la possibilita’ di denegare il rinnovo per le ragioni di cui all’art. 27 Legge 392/78 (che sino ad allora erano previste per le sole locazioni ad uso abitativo).
Al fine di poter liberamente perfezionare un nuovo contratto (il famoso e c.d. patto in deroga) era necessaria la presenza (o meglio la sottoscrizione del contratto) anche delle associazioni di categoria (una per la proprietà ed una per il conduttore).
Le deroghe all’equo canone dovevano in ogni caso limitarsi a quanto concesso, poiche’ eventuali patti contrari alla legge avrebbero ricondotto il contratto nell’ambito della disciplina della Legge 392/78, ancora vigente e comunque normativa di riferimento.
A distanza di qualche anno, con sentenza del 18 luglio 1996 n. 309, la Corte Costituzionale dichiarava costituzionalmente illegittima la norma di riferimento di tale Legge (l’art. 11) nella parte in cui preveda, come obbligatoria, la presenza delle associazioni della proprietà edilizia e dei conduttori, rendendo pertanto possibile il perfezionamento di questi accordi locativi in deroga anche in assenza dell’assistenza di dette associazioni.
In sostanza, la Corte rilevava come non fosse ben chiaro quali i soggetti abilitati a prestare assistenza, quali i criteri per la determinazione dei corrispettivi senza inoltre delineare, nell’imporre l’onere dell’assistenza, quale il suo contenuto ne’ i criteri ed i parametri di valutazione cui le associazioni avrebbero dovuto ispirarsi al fine di prestare assistenza.
Si aggiunge infine, per completezza, che la norma prevedeva inoltre, in caso di mancato accordo tra le parti ai fini del perfezionamento di un nuovo contratto, un regime di proroga legale di due anni per le locazioni intercorrenti con il regime di equo canone.
La Legge 431/98
Con l’entrata in vigore delle disposizioni normative ancora in vigore abbiamo assistito all’introduzione, quanto alle tipologia contrattuali adottabili, di un sistema misto o a “doppio binario”, con la possibilita’, per le parti, di dar vista a contratti di locazione sia a canone libero che a canone predeterminato (o, per meglio dire, concertato o concordato) a seconda del tipo di contratto prescelto.
Le norma in vigore prevedono tre fattispecie contrattuali.
1) Contratti con canone locativo libero e a durata vincolata (quattro anni rinnovabili di quattro in quattro), con facoltà per il locatore di dare disdetta, alla prima scadenza, solo in presenza di determinati motivi tassativamente indicati dalla legge.
2) Contratti con canone e a durata entrambi vincolati, quest’ultima piu’ contenuta (tre anni per le esigenze abitative di natura primaria, sino a tre anni per gli studenti universitari o equiparati, sino a diciotto mesi per i contratti destinati a soddisfare esigenze – documentate – di natura transitoria), anche in questo caso vi è facoltà per il locatore di dare disdetta, alla prima scadenza, solo in presenza di determinati motivi tassativamente indicati dalla legge.
Questi contratti a canone vincolato (trattasi dei c.d contratti concordati su cui verrà svolto un breve approfondimento nell’ultimo paragrafo della presente relazione) presuppongono benefici fiscali piu’ agevolati rispetto ai precedenti.
3) Contratti completamente liberi, nella determinazione del canone locativo e nella durata, di fatto in toto sottratti a qualsiasi disposizione vincolistica, destinati ad avere ad oggetto gli immobili di pregio ovvero a soddisfare esigenze turistiche.
L’entrata in vigore di quest’ultima legge, nata con la dichiarata finalità di ripromettersi di contrastare il fenomeno dei c.d. canoni sommersi, ha visto l’introduzioni di alcuni rilevanti principi:
– la forma del contratto deve essere quella scritta ad substantiam, ovvero essenziale ai fini della sua validità;
– e’ – ovviamente – nulla qualsiasi intesa tra le parti tendente a prevedere il pagamento, a favore del locatore, di somme ulteriori rispetto al canone di locazione così come indicato nel contratto sottoposto a registrazione.
In ultimo, quale ulteriore indicazione di carattere generale, preme evidenziare, con riferimento specifico ora ai soli contratti c.d. concordati ordinari, aventi durata minima di tre anni e prorogabili di due (gli ormai famosi 3 +2) come paiono ormai chiarite le modalità del rinnovo, una volta intervenuta la scadenza contrattuale prevista per legge.
Pare infatti – si auspica – conclusa la fase di incertezza (per il vero cagionata anche da orientamenti difformi tra loro delle varie sedi dell’Agenzia delle Entrate territoriali), sorta a seguito di precedenti giurisprudenziali contraddittori (i Tribunali di Torino e Genova, per esempio, propendevano per il rinnovo di triennio in triennio, una volta giunta a scadenza la proroga del biennio (e, pertanto, giunti a conclusione del quinto anno di locazione); viceversa, il Tribunale di Bologna era inizialmente orientato per rinnovi “alterni” tra loro nella durata (tre anni piu’ due, di nuovo tre ed ancora due, e cosi’ via via nel tempo).
Con recente pronuncia del marzo 2018, anche il Tribunale di Bologna pare a sua volta ora orientato a ritenere “di carattere eccezionale la prima proroga biennale ex lege”, dando sostegno ai precenti dei Tribunali sopra indicati, stabilendo che i rinnovi contrattuale successivi intervengano di tre anni in tre anni (o di eventuale maggior durata qualora inizialmente concordata tra le parti (pertanto 3+2+3+3, 4+2+4+4, ovvero 5+2+5+5 e via dicendo).
In ultimo, si segnala infine che con sentenza n. 16729 del 2016 la Corte di Cassazione, ancora in tema di contratti c.d. concordati, hai poi precisato come, “”al termine del primo triennio, sempre che il locatore non abbia inviato diniego di rinnovo motivato, operi la proroga biennale prevista dall’art. 2 – comma 5 – solo se il conduttore abbia ulteriormente manifestato la volontà di rimanere nell’immobile, proponendo la stipulazione di un rinnovo rifiutato dalla controparte oppure, se sia stata quest’ultima a formulare una richiesta in tal senso respinta dal primo. Ne consegue che, in mancanza di una siffatta trattativa la locazione deve considerarsi cessata senza disdetta, trovando applicazione il combinato disposto degli artt. 1596 comma 1, 1957, comma 1 e 2 , 1574 comma 1 e 2 c.c. “”
Il contratto c.d. concordato e l’attestazione di rispondenza normativa ed economica all’accordo territoriale da parte delle associazioni di categoria
Si tratta – quella dei contrati c.d. concordati e/o concertati – della tipologia contrattuale che presenta le peculiarità’ di maggior rilievo e che pertanto merita un maggiore, breve, approfondimento.
Definiti anche come contratti a canone calmierato rispetto ai c.d. contratti liberi (il canone di locazione sin dal 1998 presuppone la determinazione del canone locativo applicato al contratto nel rispetto dei criteri e dei valori locativi di cui ai c.d. accordi territoriali comunali siglati dalle rispettive associazioni di categoria), i contratti in esame prevedevano, a fronte dell’individuazione di un canone locativo piu’contenuto rispetto ai valori di mercato, e come contropartita a favore del locatori, iniziali agevolazioni fiscali solo ad essi dedicate e una durata minima legale più breve, godono ora – principalmente – di un’aliquota piu’ agevolata (il 10%, in forza della Legge n. 80/2014) rispetto a quella ordinaria (il 21%) in caso di opzione al regime fiscale della c.d. cedolare secca, ormai piu’ che diffusa ed utilizzata, e in vigore anche per l’anno 2019.
Il regime fiscale della c.d cedolare secca (di fatto si tratta di un imposta sostitutiva) permette di mantenere separato il reddito derivante dal contratto di locazione dall’ordinario prelievi ai fini IRPEF (quindi dall’insieme dei complessivi e residui redditi del contribuente) ed e’applicabile alle sole persone fisiche, proprietari o titolari di altro diritto reale di godimento, che concedono in locazione ad uso abitativo a favore di terzi.
L’attuale regime fiscale oggi ancor più agevolato in misura pari al 10% (si ricorda che il regime agevolativo veniva introdotto con d.lgs n. 23/2011) presuppone, così come sin dalla sua introduzione, anche l’esenzione dall’assolvimento delle imposte di registro e di bollo, nonché delle addizionali regionali e comunali ai fini IRPEF e, come conseguenze sugli effetti del contratto, presuppone che il canone di locazione, operando il regime agevolato, non possa subire adeguamenti annuali in forza dell’indice ISTAT.
Venendo all’oggi occorre richiamare il d.m (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti di concerto con quello dell’Economia e della Finanze) del 16 gennaio 2017 che, nel recepire la più recente Convenzione Nazionale siglata in data 25 ottobre 2016 dalle organizzazioni sindacali di proprietà edilizia ed inquilini maggiormente rappresentative a livello nazionale (Convenzione di cui all’art.4 – comma I – Legge 431/98), ha tra l’altro previsto (a) la possibilità di stipulare contratti concordati destinati a soddisfare le ordinarie esigenze abitative in tutti i Comuni italiani e non più esclusivamente a quelli ritenuti “ad alta tensione abitativa”, (b) l’introduzione di nuovi c.d. modelli o tipi di contratto (art. 1 – comma X -), da adottare obbligatoriamente ai fini del valido perfezionamento dei contratti di locazione c.d. concordati, nonché (c) “la partecipazione delle associazioni di categoria (art. 1 – comma VIII – ) che possono prestare assistenza alle parti contrattuali nella definizione del canone effettivo, demandano poi ai successivi accordi, per i contratti non assistiti, di definire le modalità’ di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi (dell’immobile) dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo (territoriale), della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali.
Quale il significato e il contenuto di tale disposizione?
Chiara e precisa la previsione della facoltà per le parti di farsi assistere dalle associazioni di categorie (da notare che trattasi ora facoltà e non obbligo, e ricorderete forse la dichiarata incostituzionalità della norma che prevedeva l’obbligatorietà dell’assistenza delle associazione per la stipulazione dei c.d. patti in deroga di cui alla richiamata Legge 359/92) ma che accade ai contratti sottoscritti in mancanza di assistenza delle associazioni e quale contenuto si e’ previsto per le attestazioni di rispondenza?
Ne sono ovviamente seguite numerose proposizioni di interpelli all’Agenzia delle Entrate e richieste formali di chiarimenti e incontri presso il competente Ministero (l’ultimo, a quanto mi risulta, e decisivo, del 12 aprile 2018) a seguito dell’introdotta obbligatorietà delle attestazioni per i contratti non assistiti e la facoltatività dell’assistenza da parte delle associazioni.
Risposte ad interpelli e a richieste di chiarimenti puntualmente forniti.
Con nota in “Risposta a quesito in merito alle agevolazioni fiscali di cui alla Legge n. 431/98 da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 febbraio 2018, veniva infatti espressamente precisata l’obbligatorietà dell’attestazione di rispondenza ai fini di potersi legittimamente avvalere delle agevolazioni fiscali ora previste per i contratti c.d. concordati, nota che per completezza credo utile riportare per esteso:
“” (…..) Come è noto, l’articolo 1, comma 8 del decreto interministeriale 16 gennaio 2017 recante i criteri generali per la definizione degli accordi locali per la determinazione dei canoni recita:
“Le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”.
Ciò posto va rilevato come la convenzione nazionale, a seguito di convocazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale e, conseguentemente, il decreto interministeriale 16.01.2017, pubblicato sulla G.U. del 15 marzo 2017, n. 62, abbiano voluto intendere facoltativo – in coerenza con l’orientamento della Corte costituzionale – il ricorso alle organizzazioni sindacali per quanto concerne la definizione del canone.
Allo stesso tempo, in relazione ai contratti non assistiti, il citato decreto dispone che gli accordi definiscono le modalità di attestazione della rispondenza del contratto sia per quanto concerne il contenuto economico e normativo che per quanto concerne il profilo delle agevolazioni fiscali.
Ciò comporta la necessità di fornire alcuni chiarimenti in ordine all’obbligatorietà o meno dell’attestazione di conformità sopracitata in relazione ai contratti non assistiti.
Si ritiene innanzitutto che l’organizzazione sindacale che effettui l’attestazione possa essere indifferentemente sia un associazione di proprietari che una degli inquilini purché firmatarie dell’accordo locale.
Per quanto concerne i profili fiscali va considerato che l’obbligatorietà dell’attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla pubblica amministrazione, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell’accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali.
Ne consegue l’obbligo per i contraenti, di acquisire l’attestazione in argomento anche per poter dimostrare all’Agenzia delle entrate, in caso di verifica fiscale, la correttezza delle deduzioni utilizzate (……..). “”
Concludo precisando infine che tale attestazione non e’ viceversa richiesta ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali per i contratti di locazione stipulati antecedentemente rispetto all’entrata in vigore del suddetto decreto, o anche successivamente, laddove non risultino ancora stipulati nuovi accordi territoriali tra le Organizzazioni Sindacali di proprietari ed inquilini che abbiano recepito le nuove disposizioni previste da detto decreto.