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CONVEGNO ABICONF 23 MARZO 2019

a cura di Avv. Andrea Rimondini

La compravendita di immobili può comportare l’insorgere di problematiche inerenti il pagamento delle spese condominiali e l’identificazione dei soggetti che possano essere chiamati a corrisponderle.
Gli scenari sono molteplici: possono, ad esempio, sussistere oneri per lavori di recente esecuzione, seppur deliberati in anni passati, spese la cui approvazione è successiva all’effettiva erogazione del servizio (poiché, ad esempio, ratificate ex post) o, ancora, non sorrette da delibere perché relative ad interventi urgenti o, semplicemente, rientranti nell’ordinaria gestione.
I riferimenti legislativi sull’argomento sono piuttosto modesti, circostanza che ha indotto i Giudici a fornire, nel corso del tempo, soluzioni contrastanti – anche perché relative a casi pratici spesso diversi tra loro.
Partendo dall’esame delle norme, dobbiamo soffermarci sul noto art. 63 disp. att. c.c., che, al comma IV, prevede la solidarietà tra acquirente e venditore per i contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.
La norma richiama quanto già previsto dall’art. 1104 ultimo comma c.c. in tema di comunione – “il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questi dovuti e non versati” –, pur circoscrivendo temporalmente gli obblighi; ed invero nel caso del condominio la responsabilità solidale di dante causa ed avente diritto è limitata all’anno in corso ed a quello precedente, mentre alcuna limitazione vi è nella comunione.
La più ristretta previsione è anche dovuta al fatto che il trasferimento immobiliare si realizza in un contesto, appunto quello del Condominio, in cui esiste una contabilità vera e propria, un Registro Anagrafico, etc…; quindi il promittente acquirente ha certamente maggiori possibilità di accertare lo stato del bene (dal punto di vista delle passività, ma anche dei futuri impegni di spesa) rispetto a quelle che avrebbe nell’ambito della semplice comunione.
Il legislatore della riforma ha poi introdotto il V comma dell’art. 63 disp. att. c.c., in forza del quale chi cede diritti su unità immobiliari rimane responsabile solidamente con chi compra “fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”.
Nonostante la disposizione non preveda espressamente quale sia il soggetto onerato dell’incombente, il maggior interesse è certamente configurabile in capo al venditore, il quale solo con tale comunicazione si libera dal proprio obbligo contributivo, altrimenti perenne.
L’art. 63 V comma disp. att. c.c., del resto, va letto anche in relazione all’art. 1130 comma IV c.c., in tema di tenuta del Registro Anagrafico, del quale pare costituire una sorta di “sanzione”; qualora non venga comunicata all’Amministratore la variazione dei dati, il soggetto che ne subisce le conseguenze è il venditore, che, pur avendo venduto, conserva inalterato il proprio obbligo di pagamento delle spese per l’unità di cui non è più proprietario.
La ratio delle disposizioni di cui al IV ed al VI comma dell’art. 63 disp. att. c.c. è quella di tutelare la recuperabilità del credito in Condominio proprio nel caso di trasferimenti di proprietà, offrendo all’ente comune la possibilità di agire sia sull’avente diritto, sia (con qualche difficoltà in più, sulla quale ci soffermeremo) sul dante causa.
I principi legislativi sull’argomento sono presto riassunti:
– sussiste responsabilità solidale tra acquirente e venditore per i contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente;
– fin quando non è trasmessa all’Amministratore copia autentica dell’atto traslativo, il venditore è solidamente responsabile con l’acquirente – anche per i contributi maturati dopo la vendita.
Il concetto di responsabilità solidale ha un peso da non sottovalutare; ed invero ai sensi dell’art. 1292 c.c., dedicato alla solidarietà nel debito, il creditore/Condominio (appunto in ipotesi di solidarietà) potrà agire a propria discrezione nei confronti di ciascuno dei condebitori e per l’intero credito; sarà il debitore eventualmente escusso a dover procedere in regresso nei confronti degli altri condebitori, per il recupero delle quote di ciascuno.
A titolo esemplificativo, quindi, il Condominio, in ipotesi di mancata comunicazione ai sensi dell’art. 63 comma V disp. att. c.c., potrebbe agire nei confronti del venditore (qualora questo fosse, ad esempio, più solvibile) anche per i contributi maturati negli anni successivi alla vendita; fermo, comunque, il diritto del venditore di recuperare dall’acquirente quanto da questi effettivamente dovuto.
Ora, le ipotesi applicative della solidarietà del venditore sono, in realtà, piuttosto limitate; ciò sulla scorta del fatto che, per giurisprudenza consolidata, lo strumento speciale per il recupero del credito condominiale sulla base dello stato di riparto approvato ex art. 63 comma I disp. att. c.c., quindi il decreto ingiuntivo munito di clausola di provvisoria esecutorietà, può essere attivato solo ed esclusivamente nei confronti di chi ha la qualifica di condomino.
Si veda sul punto Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 23/7/2012 n. 12841 “ … (Omissis) la stessa giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 23345 del 2008) ha statuito che, in tema di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprieta’ di un’unita’ immobiliare, l’alienante perde la qualita’ di condomino e non e’ piu’ legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell’anno in corso o del precedente, solo attraverso l’acquirente che gli e’ subentrato, con la conseguenza che non puo’ essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo ai sensi dell’articolo 63 disp. att. c.c., per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge puo’ trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (atteso che l’obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprieta’ dell’immobile)”.
Capita allora raramente che l’Amministratore possa decidere di agire per il recupero del credito invocando la responsabilità solidale del venditore (ex-condomino), posto che tale scelta implicherebbe, come detto, la rinuncia allo strumento garantistico di cui all’art. 63 disp. att. c.c. e la necessità di attivare più complessi e non certo celeri procedimenti ordinari (o pseudo tali).
Molto più diffusa, invece, l’applicazione della solidarietà ex art. 63 comma IV disp. att. c.c., che consente al Condominio di rivolgersi al nuovo proprietario e di chiedere a questi anche i contributi relativi ai bilanci precedenti l’acquisto (con le limitazione dell’anno in corso e di quello precedente); ciò sempre con lo strumento garantistico dell’ingiunzione ex art. 63 disp. att. c.c..
Anche in questo caso l’acquirente, una volta pagato, ben avrà diritto di recuperare dal venditore la quota da questi effettivamente dovuta.
In questo secondo rapporto, venditore/acquirente, è infatti sempre operante (salva diversa convenzione contenuta nel titolo) il principio generale della personalità delle obbligazioni; l’acquirente dell’unità immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui, acquistando, è divenuto condomino; se, in virtù del principio della solidarietà, sia stato chiamato a rispondere di obbligazioni condominiali sorte in epoca anteriore, ha diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa.
Nessun dubbio sul punto; si veda, tra le tante, Cass. Civ., 22/2/2000 n. 1956: “Il principio dell’ambulatorietà passiva ha riscontro nell’art. 63, comma secondo, disp. att. cod. civ.; in virtù di esso l’acquirente di una unità immobiliare condominiale può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa, solidalmente con lui, ma non al suo posto, ed opera nel rapporto tra il Condominio ed i soggetti che si succedono nella proprietà di una singola unità immobiliare, non anche nel rapporto tra quest’ultimi. In questo secondo rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto tra le parti, è invece operante il principio generale della personalità delle obbligazioni; l’acquirente dell’unità immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui, acquistandola, è divenuto condomino; e se, in virtù del principio dell’ambulatorietà passiva di tali obbligazioni sia stato chiamato a rispondere delle obbligazioni condominiali sorte in epoca anteriore, ha diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa”.
Il problema della determinazione delle spese effettivamente dovute da acquirente e venditore, quindi, se non è prioritario nei rapporti con il Condominio, lo è certamente nei rapporti interni, tra le parti; è quindi assolutamente dirimente identificare il momento in cui sorge l’obbligo contributivo al fine, appunto, di determinare le rispettive obbligazioni.
A fronte dello scarno dettato normativo, la giurisprudenza ha, come detto, affrontato il problema in modo non omogeneo.
Un primo indirizzo giurisprudenziale, quantomai risalente, aveva affermato il principio per cui al successore a titolo particolare dovessero ritenersi trasferiti non solo tutti i diritti derivanti dal contratto, ma anche tutti gli oneri. In forza di tale principio, si affermava che l’obbligo del nuovo acquirente si estendesse anche alle spese condominiali deliberate precedentemente l’acquisto.
Si veda la nota sentenza Cass. Civ., Sez. II, 22/4/1982 n. 2489 “L’acquirente di appartamento condominiale è tenuto al pagamento delle spese comuni scaturenti da delibera assembleare antecedente all’acquisto (quale deve considerarsi la decisione presa all’unanimità dai condomini, mediante sottoscrizione di un foglio fatto circolare tra gli stessi) sia perché al successore a titolo particolare di uno dei contraenti sono trasferiti non solo tutti i diritti derivanti dal contratto, ma anche tutti gli oneri, ob rem ed in favore dei terzi, sia perché l’obbligo di pagamento delle spese in questione grava su ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 e seguenti c.c., per il solo fatto di avere in atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in solido con il dante causa, alle spese dovute da quest’ultimo e non ancora da lui versate al momento dell’alienazione”.
Secondo altro indirizzo, sempre piuttosto risalente, nel caso di alienazione di un appartamento ricompreso in condominio, obbligato al pagamento dei contributi condominiali doveva ritenersi il proprietario nel momento in cui la spesa veniva deliberata (Cass. Civ., 5/11/1992 n. 11981; Cass. Civ., 26/10/1996 n. 9366).
Per altra parte della giurisprudenza, anche recente, invece, l’obbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell’assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende soltanto liquido il debito che, in sede di riparto, viene suddiviso in quote a carico di ciascun condomino; sicché, in caso di compravendita di un’unità immobiliare sita in Condominio, è tenuto alla spesa colui che è condomino al momento in cui si rende necessario effettuarla (Cass. Civ., 17/5/1997 n. 4393, Cass. Civ., 18/4/2003 n. 6323).
Con la sentenza 3/12/10 n. 24654 è stata prospettata una soluzione più articolata: pur prendendo le mosse dalla natura propter rem delle obbligazioni condominiali, la giurisprudenza ritiene oggi che il problema vada risolto alla luce della tipologia di spesa in discussione e, quindi, distinguendo tra spese ordinarie e straordinarie.
Il concetto è stato ribadito dalla sentenza 10/4/13 n. 8782, nella quale la Cassazione ha fissato alcuni importanti principi.
Ed invero, relativamente alle spese di manutenzione ordinaria, secondo la Corte, il momento genetico dell’obbligazione deve essere individuato nell’effettivo compimento dell’attività gestionale relativa alla manutenzione, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi, sul presupposto che l’erogazione delle spese ordinarie non richiede la preventiva approvazione da parte dell’assemblea.
Con riguardo, viceversa, alle spese straordinarie, l’obbligo contributivo in capo ai singoli condomini non può essere ricollegato all’esercizio della funzione gestionale demandata all’Amministratore, ma deve considerarsi quale conseguenza diretta della delibera assembleare che, per le spese straordinarie, ha valore costitutivo e, quindi, è essa stessa fonte di obblighi per i condomini che la adottano; per la ripartizione delle spese straordinarie dovrà quindi farsi riferimento alla data della delibera di adozione dell’intervento straordinario o innovativo, avendo questa, appunto, valore costitutivo di ogni relativa obbligazione.
Conforme e con particolare riferimento alle spese straordinarie la recente Ordinanza della Cassazione n. 15547 del 22/6/17 “In tema di riparto delle spese condominiali concernenti lavori di manutenzione straordinaria sulle parti comuni (nella specie, alla facciata), laddove, successivamente alla delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione di tali interventi, sia venduta un’unità immobiliare sita nel condominio, i costi dei lavori gravano – secondo un criterio rilevante anche nei rapporti interni tra compratore e venditore, che non si siano diversamente accordati tra di loro alla luce di patti comunque inopponibili al condominio – su chi era proprietario dell’immobile compravenduto al momento dell’approvazione di detta delibera, la quale ha valore costitutivo della relativa obbligazione. Né rileva, in senso contrario, che la vendita sia avvenuta prima dell’approvazione di tutti gli stati di ripartizione dei lavori, ovvero prima che il condomino che aveva approvato la suddetta delibera abbia assolto integralmente ai propri oneri verso il condominio, trattandosi di circostanze ostative unicamente all’emissione, nei confronti dell’alienante – che non è più condomino – di decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ex art. 63 comma I disp. att. c.c., ma non estintiva del debito originario del cedente, che rimane azionabile nei sui confronti in sede di processo di cognizione o di ingiunzione ordinaria. (Fattispecie anteriore alla novella apportata dalla l. 220/2012)”.
Il Tribunale di Milano (sent. 12/1/2016 n. 27) ha poi recentemente precisato “… (Omissis) La delibera giuridicamente rilevante al fine di individuare il soggetto tenuto a sopportare gli oneri di un intervento straordinario, tuttavia, è solo quella con la quale tali interventi siano effettivamente approvati in via definitiva, con la previsione della commissione del relativo appalto e l’individuazione dell’inerente piano di riparto dei corrispondenti oneri, non assumendo rilievo l’adozione di una precedente delibera assembleare meramente preparatoria o interlocutoria, che non sia propriamente impegnativa per il condominio e che non assuma perciò carattere vincolante e definitivo per l’approvazione dei predetti interventi. La delibera in parola ha invero valore costitutivo della relativa obbligazione, sicché, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, seguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. cod. civ. (Nella specie, la delibera in tale senso rilevante è stata adottata successivamente alla stipula del contratto di compravendita).
Inoltre, “L’obiezione secondo la quale, accedendo alla tesi per cui i costi per lavori di straordinaria manutenzione devono essere sopportati da chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di detti interventi, la valorizzazione conseguente ai miglioramenti derivanti da tale tipo di interventi andrebbe ad esclusivo beneficio del condomino subentrante, può essere agevolmente superata considerando la possibilità per il venditore di tener conto dell’onere in formazione al momento della vendita nella determinazione del prezzo di vendita dell’immobile” (da ultimo Corte Appello Milano, Sez. III, 4/11/15 n. 4186).
I criteri di identificazione del momento genetico dell’onere contributivo, e questo va precisato, hanno una propria valenza soltanto qualora le parti non abbiano disciplinato l’aspetto della successione nelle spese di Condominio all’interno dell’atto traslativo; qualora, invece, l’atto ne contenga disciplina – che non deve comunque intaccare il diverso disposto di cui all’art.63 -, la stessa prevale sui criteri indicati (che, del resto, non sono normativi, ma di formazione giurisprudenziale).
E’ invece assolutamente indispensabile – ancor oggi, nonostante il quadro giurisprudenziale sia ormai più lineare – disciplinare nell’atto traslativo quegli obblighi di contribuzione alle spese (ad esempio, per il rinnovamento di alcuni beni comuni, tra i quali l’impianto di riscaldamento) che prevedono il versamento di quote future, nel corso degli anni; in difetto di precisa previsione contrattuale, infatti, l’acquirente ben potrebbe sostenere che trattasi di spese da porre a carico del venditore, essendo state da questi deliberate ed essendo le opere, vieppiù, eseguite in un periodo in cui questo era proprietario.
Va infine precisato che la più volte citata solidarietà tra dante causa ed avente diritto è prevista per le sole posizioni debitorie e non, quindi, per eventuali crediti derivanti dalla differenza tra preventivo e consuntivo, che rimarranno a carico del dante causa – salvi, ancora, diversi accordi intercorsi tra le parti in sede contrattuale.